sabato 24 aprile 2010

Delle lingue e delle trote "nostrali".

Notiza di ieri: una deputata leghista propone che gli stranieri cha aprano un negozio debbano prima superare un esame di lingua; e inoltre che usino il dialetto locale o una delle lingue comunitarie per le loro insegne. Ne scrive oggi Merlo su Repubblica.


Mi sono venuti in mente i cartelli dei mercati rionali delle nostre città, per esempio quelli di Palermo, dove tutti le merci nostrane diventavano “nostrali”, e stavano gomito a gomito con i misteriosi tuberi stranieri sui banchi dei senegalesi, o dei marocchini. E poi mi son venuti in mente tutti gli strafalcioni che quasi giornalmente compaiono sulla prima pagina di Repubblica, prima di scomparire discretamente, corretti da qualche mano pietosa. E poi mi è venuto in mente il figliolo del leghista, quello che suo padre chiama amorevolmente trota, e che un diploma in tempi non biblici non sa cosa sia, e però comincia l’ascesa del Potere.


E allora mi dico che stiamo diventando sempre più minchioni, come si dice dalle mie parti. Nel senso che perdiamo il senso della realtà, insieme a quello delle misure. Che uno senza un diploma guadagni molto più di un ricercatore non ci frega nulla. Che un insegnante del sud, sia pure con passaporto italiano, rischi di non insegnare più nelle verdi valli padane non ci impensierisce, e nemmeno ci stupisce, anzi quasi ci inorgoglisce; invece che uno “straniero” metta l’insegna del suo negozio nella sua lingua, beh quello ci rode,  come si vede nei sondaggi.


Allora vi racconto una cosa: io vivo in un paese che non è il mio. Questo paese impone agli stranieri non europei di superare un esame di lingua e cultura. Noi europei non dobbiamo passare alcunchè,  anche se possiamo a mala pena ordinare una birra nella lingua locale. In ogni caso ho voluto seguire il corso di lingua per stranieri. Mi sembra normale conoscere la lingua del posto dove vivo. Del resto in Italia, a Palermo, al mercato, tutti gli stranieri parlavano italiano, e senza aver seguito corsi. Qui lo stato appalta l’incombenza a istituti di formazione che poi sub-appaltano a scuole che nella maggior parte dei casi fanno un pessimo lavoro. Un pò meglio sono i corsi organizzati dalle università, ma anche quelli lasciano a desiderare. Insomma, adesso pago qualcuno per delle lezioni private, perchè finiti i corsi disponibili all’università, e provato uno di quelli in sub-appalto, ho desistito. Ho anche spedito una bella letterina a chi di dovere. Questi corsi vengono pagati anche con le mie tasse, e non mi sta bene che vengano propagandati per quel che non sono. Ma qui, dove pure il populismo inizia a fare molti proseliti, in molti sono convinti che prima di far la guerra al velo islamico bisognerebbe darsi una bella regolatina con i corsi fantasma, altrimenti poi non si può pretendere che gli stranieri conoscano bene la lingua. In Italia siamo molto di bocca buona. Ci piacciono le scritte in dialetto, non sia mai che un “trota” qualsiasi debba confrontarsi col fatto che il turco sotto casa vende il kebab e lavora tanto e con quello non solo mantiene se stesso, ma pure i figlioli, che poi quando vanno a scuola prendono anche un bel nove in italiano. E adoriamo le lingue comunitarie,uhhhh, infatti dopo cinque anni di inglese a scuola noi siamo ben in grado di dire “the book is on the table”, no?. Non parliamo degli esimi esponenti politici italiani in visita ufficiale all’estero, così chic con l’interprete in cuffia che fa tanto Classe Dirigente...


 

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